Socotra, l'isola del tesoro - testo e foto di Arrigo Romani

Dragon blood tree By Emanuele

Ammetto che raccontare le proprie avventure vacanziere per un wsurfista e’ spesso origine di vanto e soddisfazione, soprattutto se si è trattato di un trip dove, grazie a congiunture astrali favorevoli, ti sei ritrovato ad assaggiare il lip di qualche swell (fenomeno meglio definito con la parola “culo”). Io non sono immune a questa sindrome, ma per quanto riguarda Socotra, le cose sono andate un tantino diversamente.

Oltre a dover spiegare il dove si trova, mi sono sentito più volte rivolgere la domanda: “Ma  perché  proprio, come hai detto che si chiama? Ah si, Soco…..Socotra….”.

 

 

 

 Socotra

Credo che ci siano fondamentalmente due risposte a questa domanda: la ricerca di nuovi confini surfistici (magari una nuova mecca del wsurf in un altro emisfero), ma anche l’attrazione verso “il non ben definito”, l’incognita dietro l’angolo……la curiosità di conoscere un territorio di cui non sapevo quasi nulla.

“….e invece la gente che ci vive no?”, mi potreste chiedere ancora….ed effettivamente, è stato proprio attraverso il contatto con loro che ho avuto modo di scoprire in due settimane di vagabondaggio questa terra così ricca di fascino e paesaggi quante sono le pietre che la compongono……. in effetti fu una piacevole e scoperta constatare che i 350 km2 di isola,  fino al più microscopico esame di un cm2 di essa, ne e’ interamente ricoperta…!In poche parole è un’ enorme roccia emersa  ricoperta di pietre.

 

 

 

 

 

 

Socotra Wind Conditions

 

 

Dal punto di vista…beh’ sapete a cosa mi riferisco, è stato frustante verificare che quanto riportato da vari siti meteo era addirittura sottostimato: parliamo in gergo di 3 frecce fisse da SW per circa 3 mesi all’anno; per fisse intendo dire tutti i giorni, giorno e notte. Di fatti Socotra che si trova al largo della costa somala (da cui dista un’ora scarsa di volo pur essendo terra yemenita), da Giugno a Settembre è sotto l’assedio del Monsone che spira incessantemente dal quadrante Sud-Occidentale rafforzandosi lungo la Somalia , sbucando in prossimità del corno d’Africa dove, appunto, si trova Socotra ed una manciata di isole minori, che per l’intera stagione estiva rimangono tagliate fuori da ogni attività commerciale marittima, sospesa per l’impraticabilità del mare.

L’unico modo per raggiungere Socotra sono due voli settimanali, lunedì da Sana’a (capitale dello Yemen), mercoledì da Aden (seconda città per grandezza), che servono l’isola e la riforniscono, in questa stagione, dello stretto necessario, incluso qualche turista curioso o mal informato.

                     Sana’a vecchia by night

Tengo a precisare che nella categoria curiosi, in questo periodo dell’anno, c’eravamo noi tre, Emanuele, Lara ed Io……con due cadaveri di 65 kg l’uno, trascinati da Milano a Roma in macchina, e poi fino a Sana'a e quindi Hadibo con non poche difficoltà e curiosità da parte degli enti di controllo e della gente comune (le difficoltà con le compagnie aeree sono state prontamente risolte mediante cospicuo pagamento ai vari check-in negli aeroporti da noi toccati…ma questa e’ una vecchia storia….). All’interno delle sacche due tavole Wave, una da 80 e una da 66 litri, 3 vele, 5.3 – 4.7 – 4.2, 3 alberi, due boma (e tutto il materiale di compendio necessario, anche per affrontare e riparare eventuali danni alle tavole), ma soprattutto  tanto puro “istinto” wsurfista, quello un po’ bramoso e irrequieto di entrare in azione.

A tale proposito, chiave del tour dell’isola sono state le tre guide che con il passare dei giorni sono diventati i nostri compagni di avventura, avvicendandosi in queste due settimane e rendendosi disponibili, incondizionatamente, ad assecondare ogni nostra richiesta, modificando il programma da loro preparato, al fine di raggiungere ed esplorare le zone che reputavamo più promettenti da un punto di vista windsurfistico.

Abbiamo cominciato, con Saad alla guida di una Toyota Land- Cruiser con 135.000 km e Fuaed come navigatore, interprete e public relator, ad esplorare la costa W spingendoci lungo sterrati impietosi dei nostri “deretani”e schiene doloranti, in posti come Shoab, e Qalansiyah, i quali distano 5 o 6 ore di pista da Hadibo e si affacciano su altrettante   baie coronate da una costa impervia e scoscesa, ove il vento rigorosamente side off, spazzava a 50 nodi (ne abbiamo trovati anche 86 e spiccioli !) in tumultuosi mulinelli d’aria, sinistre precise circa 2 m(nel caso di Shoab) ma piuttosto lente per via del vento che definirei rabbioso ed estremamente rafficato mentre decapitava le onde del lip, nebulizzandolo in uno spray incredibile .

   Baia di Shoab

Qui il primo tentativo, di fronte al paese di Shoab, davanti ad un pubblico di bambini festanti e alla presenza del capo villaggio ….(che figura!) ….. 20 minuti di “stop and go”(causa l’ irregolarità della condizione), per riuscire ad “agganciare” tre onde in croce e capire che non sarebbe neanche stato male, se il vento fosse stato più costante e non avesse ”strappato” nella vela in modo tale da farti perdere la presa sul boma e l’assetto sulla tavola ad ogni raffica……. (quella sera il capo villaggio mi ha messo in castigo a pane e acqua….sigh!).

 

 

 

Sulla costa Est….. già raggiungerla è stato un viaggio affascinante, stretti tra mare e pareti di roccia nera verticale a strapiombo su baie turchesi,

percorrendo la “North Coast” lungo scenari mozzafiato dove ogni dosso nascondeva paesaggi e colori nuovi: da ampie visuali di rocce rosse a pareti scure e incombenti, tormentate da grotte …….. a dune di sabbia fine e bianca come talco,

 

Giochi della natura

adagiate a muri lisci e a piombo, neri come bachelite….. e in mezzo a tutto questo alternarsi di aridità, quasi per  gioco o scherzo di madre natura, un rivolo d’acqua dolce sgorgante dalla montagna antistante.

Scorrendo tra le dune, dà vita a un tappeto di erba verde e una timida vegetazione - in quell’occasione utilizzata dalle nostre guide come luogo dove prepararsi alla preghiera del tramonto, assolvendo le abduzioni della purificazione con l’acqua sorgiva e l’erba come tappeto verde per prostrarsi in direzione della Mecca professando il loro credo. Vi assicuro che a ripensare a quel momento così mistico in un contesto così austero, mi vengono ancora i brividi..

                         Lungo la strada per Ras Irisseyl

Ras Irisseyl, insediamento più a Est dell’isola si trova in prossimità di una punta dove l’oceano indiano, sospinto dal monsone si manifesta in uno spettacolo spumeggiante di onde (un’immensa pentola in ebollizione) che frangono su rocce disseminate ovunque; in contrasto con il mar arabico (sottovento) stirato da un fech, che, misteriosamente scavalcando questa punta, raddoppia d’intensità, creando una zona di acqua più calma, dando risalto ai colori del fondale sabbioso.

In quest’ultima zona si trova una delle “marine” più importanti della costa Nord dell’isola, dove file di barche allineate in spiaggia attendono periodi migliori per riprendere il largo.

  Barche in attesa           

 

La pesca, che è fonte di sostentamento primario per i socotresi, comunque non conosce soste, cambia soltanto tecnica: in questo periodo viene effettuata scagliando le lenze da spiagge e scogliere in ogni dove, con risultati davvero sbalorditivi.

Ras Irisseyl

 

Di contro la ricchezza dei fondali attorno all’isola è sorprendente per fauna e flora dando a chiunque voglia immergersi l’impressione di nuotare in uno acquario.

Sulla North Shore si apre inoltre una delle tante grotte di cui l’isola è disseminata,  profonda e buia (abbiamo camminato per un’ora nel suo ventre), costellata da stalattiti e stalagmiti e da innumerevoli depositi calcarei, dando una parvenza  gotica all’ambiente.

Tutt’altra impressione ci ha dato Noget, nome derivato dalla storpiatura linguistica dall’Inglese “no good” e riservato alla costa Sud di Socotra, quasi sempre sotto ad una cappa di nuvole portate dal monsone, che innalzano l’umidità accresciuta dal drastico calo del vento (non supera i 25 km da SW) e sporadicamente da qualche debole precipitazione (che assomiglia alla condensa prodotta dalla nebbia in Val Padana). Questo clima crea l’ambiente ideale per le zanzare, che da queste parti possono trasmettere la malaria. Voci ufficiali del Ministero della Sanità yemenita, da noi contattati durante la pianificazione del viaggio, ci hanno rassicurato sull’assenza di tale rischio, maggior ragione in presenza di vento così forte…..,di fatto non abbiamo visto neanche l’ombra di una zanzara; Ciò nonostante abbiamo deciso di tenerci in linea con le raccomandazioni di svariati siti internet consultati per quanto riguarda le profilassi consigliate contro malaria, tifo, difterite e tetano. A parte il tema salute, Nuget si presenta come una pianura alluvionale arida, che separa le pendici montagnose più interne dal mare in una alternanza di terreno pietroso e sabbioso. Sicuramente è stata la parte dell’isola che meno ci è piaciuta, probabilmente per la monotonia del paesaggio troppo piatto e ripetitivo. Anche lungo la costa, per quello che siamo riusciti a vedere, poche sono le spiagge che godono di acqua limpida e balneabile per via del mare agitato (il monsone da SW investe on-shore quasi tutta la costa Sud) e delle correnti molto forti, che la caratterizzano, fatto di cui siamo stati messi prontamente al corrente da Fuaed. Facendo il bagno in prossimità di Sero, abbiamo constatato una corrente out-side di circa 4 - 5 nodi ad un metro da riva. Per spiegarne il meccanismo: con molta probabilità il monsone crea una corrente che risale lungo la costa somala e “sbuca” dal corno d’Africa, dove trova la costa Sud di Socotra a deviarne il flusso verso Est.

Costa dalle grandi onde…ma grandi, soprattutto verso Bidhola, ennesimo insediamento di pescatori lungo la costa Sud.

 

 

 

Paradossalmente nel nostro peregrinare lungo la costa Sud, un posticino dove ho avuto occasione di mettere la tavola in acqua, l’ho trovato a Mahfirhin, villaggio situato verso Est, dove la pianura si restringe piegando verso le montagne interne fino ad esaurirsi e con essa la strada (proseguendo a piedi lungo una costa a picco sul mare, in tre giorni si può raggiungere Ras Iriseil). Tornando a noi, la costa in prossimita’ di Mahfirhin, per i motivi sopra citati produce una” destra” (talvolta anche un po’ sinistra, sì, un casino totale…) in puro stile “adriatico”, con fondale degradante, una marea di frangenti da superare, (tale da scoraggiarmi ad andare “fuori” per la troppa lontananza), vento “side – off” e una corrente “out-side” fastidiosa…..che in caso di rottura………….. non ho gradito. Ci siamo fermati tre giorni e ho avuto modo di wsurfare con la 5.3 e 4.7 di vela e 80 litri di tavola  “metà” dello spot, su onde di 2,5 – 3 m a 300, 400 metri da riva, senza essermi mai spinto su quelle più al largo, ben più grosse, causa l’assenza di un canale di uscita e quindi il rischio di trovarmi un’”albero” e più d’onda frangente in faccia a 600-700 m dalla spiaggia.

Il tutto sommato ad un cielo grigio, alla corrente e alla completa solitudine in acqua (ad esclusione di una tartaruga marina che faceva capolino tra le schiume), non ha acceso in me quella scintilla e 

determinazione tali da rendere quei momenti, non dico memorabili, ma indimenticabili.

                           

Mahfirhin

Foward a Mahfirhin

Di indimenticabile, invece, ho trovato l’ospitalità prestataci dalle famiglie del luogo che, oltre a assegnarci una abitazione ci hanno rifocillato con pane fatto in casa (ogni famiglia lo produce per proprio uso e consumo) e tè prontamente preparato prima e dopo cena, come digestivo. Così, in tutta l’isola sembra vigere uno spiccato senso dell’ospitalità e una forte solidarietà, che va oltre ai dettami del corano, dando corpo a nutriti gruppi familiari multi generazionali, come suol dire il detto”l’unione fa la forza” in mancanza d’altro. Molto gradevole la compagnia serale, costituita da una serie di visite dei membri maschi della famiglia, tutti i ragazzi e ragazzini tra i 12 e i 20 anni, peraltro molto curiosi ma composti, ed altrettanto timidi. Come è regola in certi momenti di riunione, attorno ad un tè fumante e la fievole luce di una lampada a gas si sono sprecati racconti di esperienze di pesca, in cui anche gli squali erano protagonisti, ma anche temi più seri, come l’inadeguatezza di strutture sanitarie (le quali devono confrontarsi con la mancanza di fondi governativi e carenza di personale sanitario), le vicende di politica estera, oppure la figura femminile nel loro tessuto sociale apparentemente maschilista. Tra le cose che funzionano il monitoraggio delle attività territoriali e commerciali nello sfruttamento delle risorse primarie dell’isola (ricordiamoci che la pesca costituisce la fonte primaria di sostentamento per i socotresi), tanto che sull’isola è attivo un centro apposito (SCPD) che raccoglie, immagazzina ed elabora i dati riguardanti tutte le attività, creando progetti di tutela e istruzione della comunità. A tale scopo Fuaed, che è capo della Sezione Marina, organizza immersioni a scopo scientifico per biologi stranieri, ma anche campagne di istruzione nelle scuole onde sensibilizzare la coscienza naturalistica dei più giovani. Tutto questo denota con quale spirito prudente i Socotresi si aprocciano al mondo industrializzato, allo sviluppo e come tengano in considerazione l’ambiente che gli sostenta e la voglia di fare passi, anche piccoli, nella direzione giusta con le proprie risorse umane e territoriali. Questo modo di rapportarsi alla realtà è reso ancora più evidente ai nostri occhi occidentali dalla fierezza con cui vivono e perpetuano i loro sogni e speranze.

Relax e meditazione dalle parti di Die Hambry

E’ proprio grazie a questi incontri conviviali serali con Saad, Fuaed e Samy, in cui regnava un senso

di naturale armonia, che la nostra permanenza sull’isola si è rivelata una esperienza di vita, un incontro molto piacevole per entrambi, al fine di conoscerci, di scambiarci idee ed esperienze, un atteggiamento di curiosità che ci ha avvicinato molto sia come persone che come rappresentanti di culture, poi non così tanto differenti in costumi e abitudini.

                                                                            

 Amicizia …, una discreta e sentita amicizia, credo sia il modo più giusto per definire il rapporto stabilitosi in queste due settimane con i nostri compagni di avventure che, tanto si sono prodigati portandoci con entusiasmo a setacciare ogni angolo dell’isola per farci trovare la nostra chimera tanto sognata.

La “nostra chimera” non l’abbiamo trovata dove pensavamo logico cercarla (dentro un’onda, nel vento o in uno spot memorabile), visto lo scopo del viaggio, ci siamo accorti invece di esserci atterrati sopra sin dal primo giorno, di essercene cibati e poi privati dopo due settimane. Ma questo l’abbiamo capito in un secondo tempo.

 

Vegetazione endemica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per Ras Irisseyl

 

Una terra……..proprio quella terra dove gli elementi si scontrano e originano forti contrasti, dove la roccia più dura si fonde con la sabbia, dove il mare torbido ed agitato si confronta con quello più calmo e limpido, dove la vegetazione cresce sfidando tutti i concetti da me conosciuti aprendosi varchi nella roccia su cui cresce, dove il clima soleggiato caldo secco della costa Nord passa a quello più umido della costa Sud attraversando un’ altopiano dal clima fresco-umido avvolto da coltri di nuvole (vi sono cime di 2000 metri), dove culture si sono avvicendate, transitate, confrontate ma non amalgamate, dove il sorriso della gente, la disponibilità e apparente spensieratezza contrasta con l’ambiente austero e difficile, dove la distanza separa i villaggi tra loro, ma in essi respiri aria di collettività, dove uomo e donna sono divisi dall’età dei tempi in ruoli e doveri differenti agli occhi della società, dove culture di religioni diverse e diverse estrazioni si sono incontrate ma il credo è rimasto tuttora invariato, dove la voglia di ccrescere non calpesta diritti e ambiente ma è considerato un bene che sanno custodire per non auto distruggersi.

 

 

 

Su tutto questo incombe la violenza di un vento arcaico, l’archetipo dei venti, che compresso dalle montagne, ricade in un turbinio di mulinelli. Potrei andare avanti ancora ad elencare tutti quegli aspetti contrastanti tra loro, che fanno di Socotra un porto franco, una terra di scontro ed incontro, di bello e brutto, una terra così particolare, un’isola così unica dove sei tu a rapportarti con essa e a mettere in discussione le tue interiorità dell’anima. Perdersi nella solitudine di un paesaggio o una spiaggia, col vento che non concede tregua e ti snerva, è facile cosi come ritrovarsi felici e in armonia subito dopo, davanti a un branco di delfini in prossimità della riva - questa è la magia di Socotra, la chiave di un viaggio che porta alla radice delle cose e di se stessi, all’essenzialità della vita nostra e degli altri. Sta a noi  la scelta se entrarvi o rimanere sulla soglia come spettatori .

        Duna misteriosa in prossimità di Hadibo

In questa esperienza di viaggio ho avuto due compagni unici…..Emanuele e Lara,  a cui vanno tutti i miei ringraziamenti per avermi sopportato per due settimane, dopo essermi “piazzato “ tra loro come terzo incomodo.

Da sx a dx, Arrigo, Lara ed Emanuele

Testo e foto realizzate da Arrigo Romani.

Fotografia in apertura e windsurfistiche realizzate da Emanuele Bonazzi.

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